È noto che l’impatto ambientale sia diventato ormai la priorità per l’industria della moda. Mentre il fast fashion e la produzione di massa sono tra le principali cause dei problemi ambientali generando circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica ogni anno (fonte: Intergovernmental Panel on Climate Change), i consumatori fanno ancora fatica a dimensionare l’impatto che causano su base individuale.
Del resto è difficile per chiunque immaginare che comprare 5 o 6 magliette nuove equivale a un’impronta idrica media di 10-20 mila litri.
Allo stesso modo in cui non ci rendiamo conto dell’impatto negativo che possono avere le nostre azioni, spesso dimentichiamo l’impatto positivo che possiamo creare, semplicemente dando una seconda vita ai vestiti per esempio. La sensibilità del pubblico sembra crescere in questo senso come dimostrala diffusione di note app e startup di grande successo incentrate sulla rivendita dei capi usati.
Cosa succederebbe se per un anno intero tutti comprassero vestiti ricondizionati invece che nuovi? L’impatto ambientale sarebbe impressionante. È stato stimato che potremmo risparmiare l’equivalente del bisogno d’acqua di tutta la California per 14 anni (13T galloni d’acqua), il consumo annuale di energia di 32 milioni di case (350 miliardi di KwH di elettricità) e 165 miliardi di libbre di C02 o come se tutte le auto di Los Angeles fossero tolte dalla strada per 4 anni.
Naturalmente uno scenario così radicale non è realistico. Di conseguenza, come possiamo fare la differenza? L’industria della moda è complessa, coinvolge una varietà di catene che vanno dalle materie prime allo smaltimento dei vestiti. Raggiungere la sostenibilità richiederà un cambiamento ad ogni singolo step. Tuttavia, alcune misure sono già state prese, nel tentativo di chiudere il cerchio e trasformare l’industria della moda in una forza per il bene del nostro pianeta.
Partendo dall’inizio della catena di fornitura: la creazione di tessuti. Qui, l’innovazione ha già portato a una soluzione scalabile, il riciclaggio. Potrebbe sembrare una risposta ovvia al problema, ma fino ad ora, l’industria della moda si è basata sulla coltivazione di più cotone, usando più acqua, spruzzando più prodotti chimici e pompando più petrolio per poter abbassare i prezzi e vendere il più possibile. Il modus operandi è stato: più grande, più veloce, più economico e più dispendioso, come dice Patrik Lundström, CEO della svedese Renewcell. A partire dal 2015, meno dell’1% di tutti i capi d’abbigliamento sono riciclati di nuovo in vestiti. Per colmare finalmente questo divario e democratizzare il riciclaggio, il marchio emergente Renewcell ha sviluppato una tecnologia per sciogliere il cotone e altre fibre e trasformarle in materia prima biodegradabile chiamata pasta Circulose®. L’azienda ha recentemente stretto una partnership con il gruppo H&M, segnando un grande passo avanti nel passaggio verso la circolarità nell’industria della moda. Altri esempi di aziende che innovano in questo spazio sono Infinited Fiber e Worn Again.
Dopo la produzione viene il packaging. Negli ultimi anni abbiamo visto emergere in gran numero alternative sostenibili alle scatole di cartone e agli involucri di plastica. I fornitori di scatole ecologiche offrono soluzioni che spaziano dall’imbottitura biodegradabile alle scatole di marca personalizzate per un’esperienza di spedizione completamente sostenibile. Le alternative sono ampiamente accessibili: i marchi possono scegliere tra un certo numero di aziende con offerte uniche come sacchetti di spedizione in amido di mais completamente compostabili, alternative in poliestere ricavate dalla canna da zucchero, fonti di imballaggio da foreste certificate FSC gestite in modo ecologico, e molti altri. Anche se queste soluzioni possono essere più costose, i benefici, spesso, giustificano la spesa. Mentre riducono la quantità di plastica in circolazione, che può impiegare da 15 a 1000 anni per decomporsi, e riducono l’impronta di carbonio, queste soluzioni fanno anche bene agli affari. Una ricerca ha dimostrato che il 49% dei consumatori è disposto a pagare un po’ di più per un imballaggio ecologico.
Infine, al termine della catena di fornitura ci sono soluzioni volte a prolungare la vita dei capi. Queste hanno il potenziale per ridurre la quantità di capi che finiscono nelle discariche e allo stesso tempo affrontano il problema della sovraproduzione. Modelli emergenti come Reflaunt offrono ai marchi l’opportunità di proporre servizi di rivendita per i capi che non indossano più, così i clienti possono conciliare la loro passione per la moda con la coscienza ambientale. La tecnologia di Reflaunt facilita la circolarità all’interno dell’industria della moda, e permette ai consumatori di sbloccare un ritorno sull’investimento dei pezzi che possedevano dando loro una seconda vita.
Inoltre, nello stesso modo in cui Reflaunt permette la rivendita su diversi marketplace, la startup permetterà presto ai clienti di riciclare i loro capi attraverso diverse soluzioni, tra cui la possibilità di upcycling dei capi passati con Yellow Octopus. L’obiettivo è quello di facilitare l’upcycling di qualsiasi capo a cui non è stato possibile dare una seconda vita.
Queste innovazioni danno grandi speranze per il futuro. Abbiamo solo bisogno dell’impegno e dell’adozione del servizio da parte di tutti gli attori dell’ecosistema della moda. Le alternative ecologiche esistono, e gli opinion leader stanno sostenendo il cambiamento, creando uno slancio su cui agire. Come ha detto Stella McCartney: “Il futuro della moda è circolare. Deve esserlo!”.