I colori della pace
Perfino alle mie orecchie di cartone è giunta voce che gli umani si stanno facendo, di nuovo, la guerra. Si dice che abbiano litigato per colpa di alcuni missili. Missili insolenti, che vorrebbero andare dove non potrebbero stare. Sai che novità! È tipico degli umani dare la colpa agli altri. Stavolta se la prendono con qualche povero proiettile gigante. Quello vorrebbe starsene bello fermo ad arrugginire, inutilizzato, per decenni, mentre loro – gli umani – fremono per accendergli la coda e farlo schizzare altrove. Perché non lasciano in pace le cose, una buona volta, questi portatori insani di carne e ossa?
Purtroppo là fuori, da qualche parte, ci sono umani incolpevoli che hanno perso la casa e che non sanno dove andare né dove mettere le poche cose che si sono portati appresso. E io che faccio, non gliela do una mano? Certo che gliela do: sono un cartone animato da buone intenzioni, sappiatelo. È per questo che stamattina ho fatto il balzo più repentino di tutta la mia vita. Appena il bellissimo direttore dello scatolificio ha annunciato che intendeva donare dei contenitori per aiutare i profughi, sono saltato in mezzo ai cartoni grezzi senza pensarci due volte. Avevo capito che i magazzinieri non mi avrebbero mai e poi mai arruolato, vestito a festa come sono. Quindi mi sono nascosto in mezzo ai miei colleghi colorati di ocra. Il cartone semplice è la migliore scelta quando c’è bisogno di fare il lavoro duro. Una scatola colorata e rifinita come me non sarebbe ben vista in guerra. La guerra predilige le tinte scialbe, quelle che mettono tutti di malumore. Anche perché, se gli umani fossero allegri, se fossero felici, che bisogno avrebbero di spararsi l’un l’altro?
“Ehi, Scatolo,” mi ha detto un collega cartonato “che ci fai qui, conciato in quel modo?”
“Vengo anch’io con voi” gli ho annunciato. “Intendo rendermi utile”.
“Ma Scatolo…” obiettava, dubbioso.
“Sì?”
“Tu non sei più grezzo da quando ti hanno riciclato. Ti sembra un vestito adatto per andare in guerra, il tuo?” mi ha chiesto.
“Senti, dobbiamo smetterla con questi soliti pregiudizi sui colori. Che differenza fa la tinta del nostro involucro esterno? Ciò che conta è il contenuto. E tu lo sai bene!” gli ho risposto.
“Uhm.”
“Poche storie, amico, quello che c’è dentro di noi vale più di ciò che mostriamo all’esterno”.
“Caspita, Scatolo, il riciclo ti ha fatto proprio bene. Sei diventato capiente e sapiente!”
“Ecco, bravo,” gli ho detto “allora taci e nascondimi. Se mi vedono i magazzinieri mi rimettono sugli scaffali. Lo sai bene che gli umani non ragionano quando vedono qualcuno del colore sbagliato!”
Ma mentre gli spiegavo le mie ragioni, vedo saltar fuori dal mucchio quell’irresponsabile della mia fidanzata.
“Taffetà!” ho urlato. “Che ci fai tu qui?”
“Quello che fanno tutti, tesoro, il mio dovere!”
“Ma…”
“Ma cosa?” mi ha chiesto.
“Ma tu sei una scatolina rivestita di stoffa!”
“Ebbene? Adesso questo sarebbe un inconveniente per te? Non mi pare che ti sia mai lamentato del mio aspetto fisico!”
“No, non intendevo dire questo, Taffetà, è solo che…”
“Beh?”
“Ecco, tu sei rosa!”
“E tu sei rosso, quindi?”
“La guerra non è un posto per te!” le ho detto.
“Amico, mi sembri un po’ confuso” ha obiettato il collega di cartone grezzo, che ci ascoltava divertito.
“Senti, Taffetà, cosa vorresti fare in guerra? Tu sei… piccola!”
“Ascoltami, Scatolo, noi non stiamo andando a combattere. Stiamo andando ad aiutare. Quando si vuole aiutare qualcuno non serve fare tanti ragionamenti. Serve armarsi di buona volontà. Quindi posso benissimo venire anch’io!”
“Ma… cosa potresti contenere in queste circostanze?”
“Potrei contenere dei giocattoli, tesoro. Non credi che possa servire risollevare il morale dei bambini in questo momento?”
“Ehi, scusate,” ha detto l’amico grezzo “cosa sono questi bambini?”
“Sono gli umani piccoli!” abbiamo risposto in coro, io e Taffetà.
Un sorriso per i bambini
E così siamo partiti insieme. Dopo un lungo viaggio sul camion, siamo arrivati in un magazzino molto movimentato. Era pieno di umani laboriosi che si davano da fare per aiutare quelli che si trovano in difficoltà a causa della guerra. All’inizio pensavo che fossero tutti inglesi, o forse americani, perché non facevano altro che ripetere “Put-in, Put-in”, ovvero “Mettilo dentro”, mentre ci riempivano di merci: alimenti, indumenti, saponi… Ma poi ho capito che sono tutti italiani e che “Put in” è il nome di quell’umano che sta tirando le bombe sulle teste degli altri umani. Certo che glielo potevano trovare un nome migliore a questo disgraziato!
Comunque, io sono stato riempito di saponette profumate, mentre Taffetà ospita un piccolo peluche a forma di castoro. Ha due dentoni sporgenti e una bella coda pelosa.
“Ehi, amico,” gli ho subito detto “non vorrai mica rosicchiarti la mia ragazza, vero?”
“Tranquillo, ciccio,” mi ha risposto “sono finto. Non mangio né legno né cartone. Mi nutro di sorrisi.”
“Sorrisi?”
“Yes, Sir”.
“Come?” ho chiesto, ma Taffetà è intervenuta prontamente:
“Ha detto Yeltsin! Ho sentito che è il nome dell’umano che comandava prima di coso, Put in”.
“Ah, un altro nome strambo” ho commentato. “Ma pure Yeltsin sparava bombe?”
“Pare di no” ha detto il nostro amico grezzo. “Quello era pacifico. Per tenerlo buono, bastava avvicinargli una vodka”.
“E adesso chi sarebbe questa Vodka, sentiamo…” ho chiesto.
“Ma di cosa state blaterando tutti quanti, si può sapere?” ha chiesto il castoro finto. “Io vi ho detto Yes, Sir, sissignore. È un modo per dire sì negli eserciti. Siamo o non siamo in guerra? Intendevo spiegarvi che mi nutro di sorrisi”.
“Ma come sarebbe a dire che mangi sorrisi? Non capisco”.
“Significa che per stare bene mi basta vedere i sorrisi che fanno i piccoli umani quando mi vedono. A loro piacciono molto i peluche come me, credimi”.
In effetti, devo dire che il castoro finto aveva ragione perché quando siamo arrivati a destinazione erano tutti contenti di vederci. E quando Taffetà si è tolta il coperchio di fronte agli occhi spaventati di una piccola umana bionda, il castoro è saltato fuori tutto raggiante, e gli occhi della bambina hanno gioito. Come sorrideva! È stata una bellissima esperienza.