Al fuoco! Si salvi chi può
Non c’è pericolo più grande di quello del fuoco, per un povero cartone. Il fuoco sarebbe la fine: un cartone bruciato è un cartone irrecuperabile, annientato, sparito. Qualunque altro tipo di danno sarebbe risolvibile con un bel processo di riciclo, ma al fuoco non c’è proprio rimedio.
Io scommetto che il fuoco lo hanno inventato gli uomini perché solo a loro potrebbe venire l’idea di creare una cosa tanto dannosa. Il bello è che hanno anche inventato un modo per difendersi dal fuoco: una specie di bombola rossa con la quale si spara acqua tutt’intorno. Ma sono stati egoisti, come al solito, perché questo rimedio funziona solo per loro, gli umani. Per noi cartoni, invece, l’acqua sarebbe una pessima forma di protezione. Se bagnati, diventeremmo una poltiglia impossibile da maneggiare e…
“Ehi… Scatolo, a cosa pensi? Si può sapere dove hai il coperchio oggi?”
“Ehm, scusami, tesoro, ma ero distratto” dico a Taffetà, la mia scatolina fidanzata.
“Me n’ero accorta. Ma devi essere sveglio e concentrato perché se ci bagniamo siamo rovinati!”
“Hai ragione. È solo che questo incendio mi ha sconvolto”.
“Sì, capisco, ma pensa a saltare. Oop!”
Io e la mia fidanzata siamo costretti a saltare come matti, di qua e di là, perché un umano sta spargendo acqua dappertutto e noi dobbiamo assolutamente evitarla. Siamo dentro un magazzino che è stato colpito da qualcosa di cattivo: una bomba, o un missile, o un coso qualsiasi che dannifica senza pietà. Lo hanno sparato quelli che stanno facendo la guerra ed è venuto a cascare giusto qui dentro. Ora gli umani stanno spegnendo l’incendio per salvare le merci, ma non si curano affatto di noi contenitori, come al solito. Se c’è una cosa che ho imparato facendo il cartone ondulato è che nessuno si preoccupa mai della mia incolumità. Ci devo pensare io o sono rovinato. Letteralmente! E se dovessi danneggiarmi, dovrei anche stare a sentire il piagnisteo di chi si lamenta per la perdita del mio contenuto. Nessun umano verserebbe mai una lacrima per me, piangerebbe solo i miei ospiti…
Le follie della guerra
“Scatolo!” grida la mia piccola Taffetà. “Sei di nuovo con il coperchio fra le nuvole? Devi stare attento!”
“Hai ragione, scatolina. Ma mi pare che finalmente la pioggia sia finita…”
“Speriamo! Non ne posso più di saltare, mi fa male l’ondulina”.
“La volete smettere di lamentarvi, tutt’e due?” chiede una voce di fronte a noi.
Non riesco a vedere bene chi ha parlato per via del troppo fumo.
“Chi sei?” chiedo all’oscurità.
“Sono il polistirolo, non mi riconosci?”
“Oh, caspita, non ti vedevo! Sei diventato tutto nero!”
“Grigio fumo, prego” risponde lui, piccato. È infastidito dalla fuliggine che lo ricopre, ma cerca comunque di darsi un tono.
“Eh, quanto sei precisino!” gli dice Taffetà.
“Beh, amico” gli dico io “abbi un po’ di pazienza. Tu con una spolverata torni come nuovo. Per di più, sei bello impermeabile. Noi, invece, se ci bagniamo…”
“State tranquilli, adesso ci porteranno via di qui” dice lui, tutto serio.
“E dove ci portano?” gli domanda Taffetà.
“E tu come lo sai?” gli chiedo io.
“E cos’altro ci faranno fare?” lo interpella una grossa scatola per alimenti, che appare all’improvviso al mio fianco, in mezzo alla coltre di fumo.
“Ehi, ehi, piano con le domande. Mi state assediando! E sarebbe pure la seconda volta, oggi, dopo le bombe” si lamenta il polistirolo affumicato.
“Dai, parla!” lo incita Taffetà.
“Non sapete che fra pochi giorni è festa?”
“Ma come festa? Sei matto?” gli chiede la scatola per alimenti.
“Ma quale festa!” esclama la mia scatolina fidanzata. “Qui ci stavano incenerendo tutti, a momenti, e tu parli di feste?!”
“Vi dico che ci sarà una grande festa” risponde il polistirolo polveroso, sempre sicuro di sé.
“Ma come è possibile?” gli chiedo. “Chi la farebbe questa festa, se gli umani si stanno ammazzando l’un l’altro da mesi?”
“La fanno, appunto, gli umani” annuncia lui.
“Cosa? Ma allora è vero che sono tutti pazzi!” esclama Taffetà.
“Senti, secondo me il fumo ti è entrato dentro al coperchio” dice l’amico alimentare al polistirolo. “Ti sei bruciato dentro e stai delirando. Sicuro!”
“Siete liberi di non crederci, ma entro domani saremo tutti impiegati per contribuire alla festa. Dovessi sbriciolarmi all’istante se non è vero!” esclama il polistirolo.
“Ma, scusami, come si può fare una festa in mezzo a una guerra?” gli chiedo.
“La guerra verrà interrotta per qualche giorno. Si chiama tregua” precisa lui.
“Come?” domandiamo tutti, in coro.
“T-R-E-G-U-A”.
“E che novità sarebbe questa?” chiede Taffetà.
“È un modo di dire quando si smette di fare la guerra per un certo periodo” risponde il saputello.
“Fammi capire, amico,” gli dico “mi stai dicendo che gli umani adesso smetteranno di ammazzarsi, faranno una festa e poi ricominceranno d’accapo?”
“È così” risponde lui.
“Ma non ha alcun senso!” esclama Taffetà
“E quando mai quelli fanno qualcosa che abbia senso?” chiede il polistirolo. E stavolta io gli do pienamente ragione.
“Senti, visto che sei bene informato” gli domando “sapresti anche dirci come si chiama questa festa e cosa ci toccherà fare per organizzarla?”
“La festa si chiama Pasqua e funziona a colpi di cioccolata” ci rivela il polistirolo, con aria sorniona.
“In che senso?” domando io.
“Nel senso che ci sarà un gran via vai di cioccolata, in tutto il mondo, e toccherà a noi contenitori trasportarla” risponde lui.
“Oh, allora mi riempiranno di tavolette golose!” esclama il contenitore alimentare.
“Sicuro. E mi sa tanto che ti rivestiranno con della carta colorata” gli precisa il polistirolo “perché ci sarà scambio di regali dappertutto”.
“Ah, ma allora lavoreremo di nuovo per i bambini!” esclama la mia scatolina fidanzata.
“Credo di sì” le dice il polistirolo, “ho sentito dire che gli umani piccoli vanno matti per la cioccolata e se ne pappano quantità enormi”.
“Beh, sempre meglio degli umani grandi, che invece vanno matti per le bombe e stavano per bruciare tutto e tutti!” gli faccio notare io.
La speranza, tra cartone e cielo
Ma a un certo punto veniamo interrotti da un uccello bianco. È entrato dallo squarcio che si è formato sul tetto del magazzino, dopo il bombardamento.
“Cip, buonasera a tutti, cip” ci dice.
“Buonasera” gli rispondiamo noi.
“Che fate di bello? Cip” ci chiede.
“Sopravviviamo!” è la nostra risposta corale.
“Cip! Bravi ragazzi!” esclama lui. “Sapete mica dirmi dove si trova il bagno? Avrei un carico da smollare e non mi va di scaricarlo addosso a qualcuno” ci confessa.
“Beh, in verità, non lo sappiamo. Ci scusi, signor uccello…” gli dice Taffetà.
“Cip. Sono un uccello femmina: la colomba della pace” risponde il volatile sconosciuto.
“Ah” commento io, mentre guardo in faccia, a uno a uno, i miei colleghi contenitori. Nessuno sembra capirci più niente.
“Ma quindi, signora uccella, lei lavora per la pace?” chiede Taffetà.
“Cip. Io porto la pace, cara mia” risponde la colomba.
“Ah” commento di nuovo io.
“E dove la porta?” domanda ancora Taffetà.
“La porto ovunque, amici” ci dice, sorridendo. Poi si solleva in volo, altissima e ci saluta con gentilezza:
“Buona Pasqua a tutti!”