Dal riciclo, con amore
Anno nuovo, forma nuova. Ma il mio nome è sempre lo stesso, Scatolo! Sono sempre io, solo che mi hanno riciclato. Alcuni umani di buona volontà mi hanno raccolto dal bidone della differenziata in cui ero stato gettato, per condurmi in un grande e rumoroso edificio. Lì sono stato accolto bene: mi hanno trattato con i guanti! Ruvidi guanti da lavoro, gialli come il sole, mi hanno preso in mano. Poi mi hanno spolverato con rapide carezze rincuoranti, mi hanno ripulito da ogni residuo indesiderato (adesivi appiccicosi, dolorose graffette metalliche, molesti pezzetti di plastica…) e mi hanno sbiancato! Mediante una specie di massaggio decolorante, mi hanno ripulito dall’infamante scritta nera che mi era stata apposta. FRAGILE, figuriamoci! Così, dal tradizionale colore avana, sono passato al bianco. Non che mi dispiacesse, la mia vecchia pelle marroncina, però avevo proprio voglia di cambiare: in fin dei conti, non sono mica un cammello squadrato!
Quindi mi hanno pressato forte, usando una tecnica molto simile allo shiatsu, che mi ha fatto bene. Mi è subito passato quel dolore all’ondulina che mi tormentava da giorni. E poi è arrivato il momento del bagno. Una sensazione molto piacevole, devo dire, sebbene l’acqua fosse un po’ troppo calda per i miei gusti e sebbene mi ci abbiano tenuto ammollo così a lungo da ridurmi in poltiglia. Poco male, sono stato presto asciugato e ricompattato in una bella bobina nuova.
Ed eccomi qui, più bello e più efficiente di prima. Rigenerato in tutto e… diviso a metà. Sì, amici miei, quest’anno sarò una scatola di cartone ondulato con coperchio. Adesso ho un sotto e un sopra, come le pentole. Sono due in uno, come un panino da farcire e, a quanto pare, conterrò degli oggetti di pregio. Lo dico perché mi hanno rifinito con una colorazione elegante che mi rende orgoglioso del mio nuovo aspetto.
Ma la vera novità è che… ecco, io… non sono più solo. Sì, vi ho già detto che ormai consisto di due pezzi, ma il fatto è che ce n’è anche un terzo. D’accordo, ve lo dico: mi sono fidanzato. È successo tutto così in fretta che non ho avuto modo di rifletterci.
Appena dopo essere stato ristampato e assemblato, mi hanno condotto in un magazzino semibuio. Sentivo altri cartoni bisbigliare nella penombra, e me ne stavo buono e silenzioso ad attendere il mio nuovo destino, quando il mio fianco destro ha avvertito la presenza di qualcosa di morbido. Adattando la vista all’oscurità, sono riuscito a scorgere l’oggettino che mi stava a fianco. Era una piccola scatola foderata, anzi un cofanetto. Profumava di buono, di delicato, di soffice. Aveva un fiocco di raso che la rendeva sensuale come nessun’altra scatola. Era bellissima. Mi sfiorava e non parlava, forse imbarazzata per essere stata riposta così a contatto con uno sconosciuto. Beh, a voi posso dirlo: stare così vicino a una tale bellezza mi ha fatto venire la pelle d’ocra! Meno male che al buio non si notava il mio cambiamento cromatico, altrimenti mi avrebbero riverniciato all’istante.
Ero così affascinato dall’aspetto e dalla delicatezza delle superfici foderate della mia vicina, che ho cercato di attaccare bottone. Ma siccome non sono un sarto, all’inizio non è stato facile. Ci sono state delle incomprensioni…
“Ciao scatolina” – le ho detto – “che fai?”
“Quello che fai tu” – mi ha risposto, un po’ altezzosa – “aspetto”.
“Sai che sei davvero carina?” – le ho chiesto.
“Mi piacerebbe ricambiare il complimento, ma siccome non vedo niente, dovrai accontentarti di un grazie” – è stato il suo commento, non certo incoraggiante.
“Mi piacerebbe conoscerti meglio, se posso…”
“A me piacerebbe restare un po’ in silenzio.”
Per fortuna, un brav’uomo ha improvvisamente acceso i neon del magazzino. Un coro di stupore cartonato si è diffuso fra gli scaffali. Capite, c’erano scatole che si vedevano per la prima volta…
Lei, la scatolina, non ha potuto fare a meno di notare il mio nuovo coperchio rosso plastificato. Me ne sono accorto, mi ha sbirciato, la monella. Tanto è bastato a farmi coraggio.
“Anche tu sei nuova?” – le ho chiesto.
“Oh, no, io sono un reso” – mi ha risposto.
“Un reso? Che significa?”
“Uff, significa che contengo merce da restituire al produttore. Adesso, per favore, mi lasci in pace?”
Al che, un polveroso rotolone di pluriball che ci stava di fronte, mi ha rivolto il suo vocione: “Giovanotto, lascia in pace la scatoletta!”
“Scatoletta? Ti sembra una confezione di tonno, forse?” – ho chiesto allo sbruffone.
“Vabbè, ci siamo capiti, non fare il finto tonto” – mi ha risposto, con quella sua brutta faccia piena di bolle.
“E tu fatti gli affari tuoi, vecchio butterato!” – gli ho detto. Quindi ho sentito una risatina istintiva della mia amica scatolina, divertita dalla mia battuta e un po’ stizzita per essere stata paragonata a una lattina.
“Maleducato!” – ha tuonato il pluriball.
“Vecchio pallone gonfiato!” – gli ho risposto io. E allora ci siamo messi tutti a ridere, compresa scatolina. E mi ha anche sorriso!
“Io mi chiamo Scatolo” – le ho detto – “piacere di conoscerti”.
“Piacere, Taffetà” – mi ha risposto.
“Oh, è davvero un nome stupendo! Taffetà!”
“È per via del mio rivestimento…”
“Che bello!”
Eh, già, ragazzi miei, un rivestimento da urlo. Roba da far perdere la testa, anzi il coperchio, perfino a uno Scatolo tranquillo come me…
“Sei così elegante! Immagino che lavori in un negozio di gioielli” – le ho detto.
“Oh, no! Io lavoro in una pelletteria” – mi ha risposto.
“Ah, mi dispiace, scusami”
“E perché mai ti dispiace?”
“Beh, non dev’essere facile…”
“Macché, mi trovo benissimo!” – mi ha risposto, entusiasta.
“Ah, capisco. Una volta ne ho conosciuto un sacco pieno…”
“Pieno di cosa?”
“Di pellet!”
“Come?” – mi ha chiesto, spalancando la bocca.
“Ho fatto amicizia con un sacco pieno di pellet nel vecchio magazzino in cui lavoravo quando ero tutto d’un pezzo. Poverini, tutti quei legnetti, erano carini ma solo a pensare che sarebbero presto finiti al rogo… mi si accartonava la pelle!”
“Ma cosa stai dicendo, Scatolo?”
“Oh, sei stata tu a dirmi che lavori in una fabbrica di pellet!”
“Ahaha”
Lo ammetto, non ho fatto una bella figura. Anche perché quello spione del pluriball mi ha sentito e ha subito spifferato la mia gaffe a tutto il magazzino.
“Sei proprio buffo!” – mi ha detto Taffetà.
“Buffo?”
“Eh, sì, Scatolo. Una pelletteria è un negozio di oggetti di pelle. Borse, portafogli, portachiavi. Il pellet non c’entra niente!”
“Ah, pelle! Vero cuoio! Ecco perché profumi di buono! – le ho detto. Ed ero sincero.
“Eeeesatto” – mi ha risposto lei, divertita, mentre ammiccava con il suo splendido fiocco rosa.
Ho colto subito l’occasione per stamparle un bacetto, facendola arrossire.
Da quel giorno, mi sono molto legato a lei. Taffetà mi rende felice. È una sensazione così piacevole che stavo giusto pensando di dedicarle una poesia per San Valentino. Vi va di sentirla? Ho composto solo il primo verso, per ora:
Amor, che a nullo amato amar cartona…