Umanità, feste e nuovo anno

Ho visto cose che ogni coso fatto di cartone non vorrebbe mai vedere.
Credetemi, parola di Scatolo, vivere da cartone in un mondo zeppo di individui di carne e ossa, non è affatto semplice.
Ci sono situazioni in cui è difficile contenersi, perfino per un contenitore come me. Non mi credete? Provate a mettervi nei miei panni. Provate a resistere con un’anima innocente e ondulata, racchiusa fra due strati di carta piana, in un ambiente tremendamente ostile. Un ambiente pericoloso, nel quale chiunque ha mani per afferrare non si fa scrupolo di prendere, agguantare, stringere, spostare, appoggiare, gettare, lanciare, scaraventare, spingere e strappare. Oh, soprattutto strappare.
L’uomo non ha alcun tatto, cari miei.

Finalmente ho capito, a mie spese, cosa significa “fare festa” per questa creatura dissennata.  Lo chiamano “Natale”, questo curioso festival della lacerazione, questo carnevale dello strappo, questo cerimoniale dello scempio, questo rituale del disastro deliberato.
Lo chiamano “Natale” e sembra una bella cosa, a sentirla. Ma sapete in che consiste?

Il loro Natale è una riunione pericolosissima, nella quale qualsiasi cosa nasca dalla cellulosa finisce per fare una brutta fine.

Dunque: prima cucinano, poi mangiano, poi stappano, poi bevono, poi rimangiano, poi ribevono e poi che fanno? Con gesti gentili e affettuosi, si scambiano delle scatole decorate. Ma non lasciatevi ingannare, è tutta una farsa. Subito dopo, si scatena il putiferio. Subito dopo, comincia la mattanza. Dovreste vedere con che foga tranciano, con che furia rovinano, con che fretta squarciano. E come si divertono, tutti allegri e sorridenti, mentre noi vittime subiamo i loro soprusi, in preda al panico.

Ciò che mi ha sorpreso è che gli umani più pericolosi sono proprio i più insospettabili: i piccoli! Gli umani minuscoli, appena più alti di una scatola di medie dimensioni, sono quelli più avidi. Le loro mani piccine non hanno alcun riguardo per ciò che “contiene”. A loro interessa solo il contenuto. Si fanno strada per raggiungerlo, scavando con le unghie tra le fibre del malcapitato cartone. Sono delle piccole belve irriguardose. E dire che avevo un’alta considerazione di loro: mi sembravano così simpatici e buffi quando non avevano scatole innanzi a loro! Niente a che vedere con gli adulti che li hanno generati. Si vede che le scatole scatenano i loro istinti primordiali. Dev’essere l’effetto sorpresa, la foga di scoprire cosa si nasconde dentro ogni povero, malcapitato cartone.   

In questi giorni di “festa”, ho visto i miei simili venire distrutti in pochi attimi. Ho visto fiocchi lacerati, carta colorata ridotta in poltiglia, scatole martoriate senza ritegno. Uno scenario apocalittico, che appariva ancora più spaventoso per via del buonumore con cui si compivano tali gesta infami. E meno di una settimana dopo, in piena notte, ho visto ricominciare il delirio. Gli umani erano tornati di nuovo a bere e a ingozzarsi. Mi ero subito preoccupato di dover assistere a un’altra strage, ma non c’era traccia di nuove scatole.

Quasi quasi, credevo che fossero rinsaviti. Ma, a un certo punto, uno squilibrato si è messo a urlare dei numeri in ordine decrescente, poi ha stappato una bottiglia di champagne ed è scoppiato un delirio generale. Subito, quel folle si è accostato a un calendario e, usando un micidiale accendino, gli ha dato fuoco! Ha condannato al rogo un povero foglio di carta, un innocente che non faceva altro che segnare il trascorrere dei giorni in questo mondo insano.

Mi sono chiesto il perché di tutto questo. Mi sono chiesto perché quei balordi degli umani si premurano di decorare e confezionare con tanta cura quelle stesse scatole contro cui si accaniscono. Mi sono chiesto che gusto ci sia nel fare del male gratuitamente, mi sono chiesto perché la grazia e la gentilezza si tramutino in violenza all’improvviso. Mi sono chiesto da cosa nasca l’insensibilità e, soprattutto, perché vi siano sporadiche situazioni di fraternità e lunghe ere di indifferenza.
Ero a pezzi, gettato nel bidone giallo della carta, e mi facevo tutte queste domande senza trovare alcuna risposta. Ero in cima a una catasta di carta sprecata – che mi auguro venga almeno riciclata in fretta – e pensavo al senso della mia vita.
Perché io esisto? – mi chiedevo.
E poi mi sono ricordato di una leggenda che avevo sentito in magazzino, quando ancora non ero stato sfruttato, quando ero un giovane cartone intonso. Secondo la leggenda, io esisto perché mi ha inventato un umano scozzese, un certo Robert Gair, circa 140 anni fa. Gli servivo per trasportare cose. Scommetto che voleva trovare un modo per scarrozzare bottiglie di whiskey senza rovinarle. Non può certo essere considerata una missione nobile, la mia. Ma resta il fatto che almeno io so perché esisto e so chi mi ha inventato. Gli umani, invece, non hanno nessuna idea del loro perché. Ma piuttosto che farsi domande, preferiscono rinunciare a sapere e si stordiscono con i loro bagordi violenti.

Facciamo una cosa, amici miei, in attesa che qualcuno mi raccolga per rimettermi in sesto, vi faccio un augurio. Dato che un nuovo anno è appena iniziato e un nuovo calendario si occupa di segnarne il passo – prima di finire miseramente incenerito – vorrei augurarvi di trovare presto ogni risposta a tutte le domande che vi girano in testa. E che siano risposte esaurienti, o almeno chiare, convincenti. Ho a cuore il vostro benessere.

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